Il titolo di un inquietante e truce romanzo di S. Vinci, forse troppo poco considerato al tempo della sua uscita, era “Dei bambini non si sa niente”. Degli adolescenti ancor meno. Anche il poco che crediamo di sapere è vago. Sappiamo che tanti bevono, non sappiamo perché. Sappiamo che alcuni fanno sesso precoce e compulsivo, ma non sappiamo perché, o forse preferiamo non saperlo. Alcuni si suicidano, e ci affanniamo a cercare “il” motivo, forse già sapendo che non lo troveremo. Sappiamo che tantissimi non sono motivati allo studio, e qui forse con un po’ di sforzo potremmo anche sapere perché. Di fronte agli adolescenti è un pullulare di stupori e falsa coscienza. “Pensano solo ai soldi” osserviamo con sdegno. Chissà perché lo fanno… Certe ragazzine mettono fuori culi e tette e cercano di farsi strada ovunque e comunque. Che scempio, mai visto niente di simile, nella nostra onorata società. Un ragazzo ruba soldi in casa per comprarsi l’Iphone. Accidenti, come gli sarà venuto in mente? Mai sentito parlare delle nuove tecniche di marketing?
Degli adolescenti ci preoccupiamo. Facciamo indagini su alcol, droghe, gravidanze precoci e forse poco di più. Li esploriamo come un territorio ignoto infettato da malattie esotiche. Nelle carte geografiche antiche sull’ancora inesplorata Africa pare scrivessero “hic sunt leones”, qui ci sono leoni, poiché era tutto quello che ne sapevano. Hic sunt adulescentes. Li guardiamo con preoccupazione. Per il loro presente. Per il loro futuro. Pronunciamo la parola futuro come un mantra. Si parla tanto dell’aria pulita perché c’è lo smog, e oggi anche le polveri sottili. Ma come in tutti i rituali, dopo aver recitato il mantra “fu–tu–ro”, la nostra moderna danza della pioggia, la siccità prosegue inalterata, lasciandoci in tutta la nostra impotenza.
Allora si cercano delle soluzioni. Se ne fanno vessilli. Gli Oratori, le Parrocchie. Alcuni amministratori vi si aggrappano per resistere ai flutti delle risorse pubbliche sempre più risicate. Va benissimo, basta ammettere che gli Oratori coinvolgono soltanto una minoranza di adolescenti, non la generalità dei cittadini di quell’età, e che non può che essere così. Allora, che si fa? Nei momenti di crisi e di sbandamento, cercarsi dei nemici dona sollievo. L’autoritarismo, temibile nemico di un tempo andato, ora non fa più paura, anzi viene clandestinamente titillato citandolo senza abbracciarlo: “non sono per l’autoritarismo, ma…” È il nuovo mantra, dopo “io non sono razzista, ma…” Ora il nuovo Nemico è il Permissivismo. Vituperarlo è il Dogma, i Divieti sono le sue Opere, dire NO ai figli sono le Preghiere, e di tanto in tanto nei luoghi di educazione si possono ascoltare conferenze dove un ispirato Profeta celebra la Giornata dell’Odio contro il Permissivismo. Ci salverà? Crearsi dei nemici è la miglior soluzione per non pensare, per non sentire. Per anestetizzarsi dalla “umiliante, irritante presa di coscienza della propria impotenza. Non solo le persone comuni, […], ma anche coloro che occupano alte cariche e sono sotto i riflettori, leader ed esperti chiamati a ricoprire incarichi pubblici e a occuparsi del benessere e della sicurezza di tutti, restano attoniti e confusi […] Forse oggi, mai come in passato, l’individuo è succube del gioco delle forze di mercato, un gioco di cui non è assolutamente conscio e che tanto meno riesce a capire o prevedere, ma dovrà pagare per le sue decisioni prese (o non prese) individualmente.” (lo scriveva Z. Bauman quasi dieci anni fa).
D’altronde il “cosiddetto” permissivismo (ma cosa sarà poi davvero?) si presta bene al ruolo di nemico, perché è indubbio, come ci riferiva mesi fa il Censis, che siamo di fronte a una “pervasiva sregolazione delle pulsioni, risultato della perdita di molti dei riferimenti normativi che fanno da guida ai comportamenti”. Ma siamo ben lontani dall’aver capito che cosa ha causato tutto questo, dovendo anche ammettere che si tratta di fenomeni complessi e trasversali che non si lasciano interpretare attraverso i consueti, rassicuranti schemi. E allora arriva il Profeta che indica la Via alle famiglie e alle scuole ricordando i bei tempi andati in cui il maestro, come il padre, era il testimone, il sacerdote della sostanziale coerenza di un mondo in cui tutto si tiene, un mondo dotato di senso, di futuro e di speranza. Il maestro, come il padre, era la mano del mondo che con amore si curvava verso di noi, bambini, per portarci nel regno della vita dove avremmo fatto cose belle, come a loro volta avevano fatto papà e mamma, che tra le cose belle avevano fatto noi, i figli. Il mondo aspettava noi, aveva bisogno di noi. Il mondo aveva un futuro e quel futuro eravamo noi. Ma è solo nostalgia: il maestro e il genitore d’oggi non sono testimoni né sacerdoti di un bel niente, perché sentono di vivere in un mondo difficile, caotico e instabile, che faticano a comprendere, della cui coerenza dubitano, come dubitano del fatto che il rispetto delle regole sia davvero un atteggiamento premiato dai fatti.
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