Me lo prometti? (Come evitare di rovinarsi la vita)

Siamo su una spiaggia qualsiasi, tra gli ombrelloni, sono le sette di sera; Giò, quattro anni, vuole un gelato. La mamma o il papà gli dice no. Giò insiste. Allora riceve una complessa spiegazione su orari, stomaco, cena, ingrassare e quant’altro. “Hai capito, Giò?” “Sì”. Papà sorride e riprende a giocare; Giò torna a chiedere il gelato. Nuovo tentativo di spiegazione, con la voce già alterata. Giò piagnucola, pesta i piedi. Con le lacrime e la rabbia si accanisce nella sua richiesta, così sono sberle, o grida, o castighi. Poi, passata la tempesta, il cielo si rasserena. Papà chiede a Giò una promessa: che non chiederà più un gelato alle sette di sera. “Se me lo prometti, stasera andiamo sul trenino come avevamo deciso.” Giò promette. Il giorno dopo, alle sette di sera, Giò chiede un gelato. Ma i suoi genitori strabuzzano gli occhi. Questa volta i toni si accendono subito. Una promessa è una promessa. E quel piccolo fetente come si permette di infrangerla così? Gli verrà detto che è capriccioso, viziato, o cose del genere, lui piangerà, e di certo per un po’ di tempo niente trenino. Pian piano si convincerà di essere davvero cattivo, e mamma e papà fanno bene a trattarlo così perché se lo merita. Potrebbe diventare un bambino più imbronciato e rabbioso di quanto non sarebbe in altre circostanze, confermando ai genitori che… sono stati sfortunati con Giò. Senza rendersi conto che quel Giò “cattivo” lo hanno in gran parte costruito con le loro stesse mani.

Se state leggendo queste righe, potrebbe essere anche perché state tentando di evitare finali come questo. In effetti la storia di Giò può avere anche sviluppi diversi, se solo si tiene conto della mente del bambino e anche della propria. Rileggiamo allora il racconto aggiungendo, in corsivo, tutto quello che riguarda le mentalizzazioni.

Siamo su una spiaggia qualsiasi, tra gli ombrelloni, sono le sette di sera; Giò, quattro anni, vuole un gelato. La mamma o il papà gli dice no. Giò insiste. Allora riceve una complessa spiegazione su orari, stomaco, cena, ingrassare e quant’altro. “Hai capito, Giò?” “Sì”. Non è vero che ha capito, ha solo 4 anni, ma risponde così perché quel sì pare avere il potere di allentare un poco la tensione che sente nell’aria; a quell’età non regge a lungo una frattura con mamma e papà. Per fortuna funziona, papà sorride e riprende a giocare; ora che le cose sono più tranquille, a Giò sembra una bella idea tornare a chiedere il gelato, ne ha ancora voglia, e non pensa alle conseguenze. Ma alla mamma pare che il figlio sia stupido o provocatore: se ha capito tutto quel discorso di prima, non dovrebbe neanche sognarsi di chiedere ancora il gelato. Nuovo tentativo di spiegazione, con la voce già alterata. Giò piagnucola, pesta i piedi. Sente che le cose stanno precipitando, che non ha alcun potere di far calmare il papà e la mamma. Nella sua mente, l’idea di mangiare un buon gelato sembra essere l’unica consolazione raggiungibile per questa fine pomeriggio che pare così brutta, e quindi con le lacrime e la rabbia si accanisce nella sua richiesta. Ormai è una maschera di sofferenza, pare evidente che sta male, si sente impotente, alle strette, tutto precipita e non sa come porvi rimedio. La collera e la disperazione avanzano. Ma anche i genitori non sono da meno, quanto a rabbia, così arrivano sberle, o grida, o castighi, la natura fa il suo corso. Passata la tempesta, il cielo si rasserena. Papà chiede a Giò una promessa: che non chiederà più un gelato alle sette di sera. “Se me lo prometti, stasera andiamo sul trenino come avevamo deciso.” Ovvio che Giò promette a piene mani. Gli viene offerta una via d’uscita per riportare il sorriso sui volti dei genitori, e per lui dire “sì, sì, lo prometto” è un modo semplice per ristabilire l’armonia spezzata che tanto lo fa soffrire: è chiarissimo che papà si aspetta un sì, ed è ancora più chiaro che stasera Giò sul trenino ci vuole andare eccome. Non ha però nemmeno la minima idea di cosa sia veramente una promessa. Papà, al contrario, lo sa benissimo: è un contratto firmato che domani gli risparmierà la fatica di dirgli di no, poiché avendo capito, il bimbo eviterà di chiedere ciò che non deve. Il giorno dopo, alle sette di sera, se abbiamo letto bene le frasi in corsivo, non troveremo stupefacente che Giò possa di nuovo chiedere un gelato. Se avessero letto le frasi in corsivo, i suoi genitori si sarebbero nuovamente limitati a dire “no, ora no, è quasi ora di cena”, sopportando le lamentele del bambino (che non dureranno poi così tanto…) e sedendosi a tavola con un sorriso.

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